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I produttori del Tè

La nostra selezione di tè

Coltivati nel rispetto delle persone e dell’ambiente, in zone che si sono riscattate da storie di colonialismo e sfruttamento.

Tè verde, tè nero, aromatizzati, sfusi, in bustine: la scelta è davvero vasta, ma il fil rouge è, come sempre, il rispetto dei diritti.

I produttori

SOFA (Small Organic Farmer Association) – SRI LANKA

sofa produttori tè

SOFA riunisce piccoli contadini: il fatto che siano essi stessi a possedere la terra e ad associarsi è una novità importante per lo Sri Lanka, dove la coltivazione di tè è basata sul modello della grande piantagione sin dai tempi del colonialismo.

I tè di SOFA sono confezionati in scatoline fatte di foglie di palma intrecciate, lavorate artigianalmente da gruppi di donne della stessa associazione.

Di lavorazione, confezionamento ed esportazione si occupa BioFoods, compagnia di Commercio Equo tra i leader in agricoltura biologica.

SOFA e BioFoods, insieme, sostengono i contadini associati con programmi welfare, per lo sviluppo delle comunità contadine e la tutela dell’ambiente.

AMBOOTIA – INDIA

Ambootia produttore tè

Ambootia deriva dalla parola tibetana lepcha “Am-butia” che significa “boschetto di mango”.

Ambootia è una piantagione creata dagli inglesi nel 1861, durante gli anni del colonialismo: oggi il modello della piantagione è una realtà ecologica, autonoma, responsabile e rispettosa di ambiente e lavoratori.

Dal 1994 ha iniziato a coltivare biologicamente e ha ottenuto la certificazione fairtrade.

Ambootia fa parte dell’organizzazione “Darjeeling Organic Tea Estates Private Limited” (DOTEPL), fondata sui principi della sostenibilità ambientale, sociale ed economica.

I profitti generati dal commercio fairtrade sono utilizzati sulla base di una decisione comune dei rappresentanti dei lavoratori e le aree di impiego sono ambiente (per coltivazioni sempre più sostenibili ed efficaci), la comunità (e l’istruzione) e la salute (cure, ospedali).

POTONG (Potong Tea Workers Welfare Committee) – INDIA

potong produttori tè

Nasce come progetto di micro-imprenditorialità dal basso, e lavora per la tutela dei lavoratori e lo sviluppo della comunità.

Il comitato PTWWC nasce nel 2007 in India, nella regione del Darjeeling, quando alcuni contadini decidono di riunirsi per diventare proprietari delle terre su cui coltivavano il tè.

Il Darjeeling è conosciuto in tutto il mondo per la produzione di tè di ottima qualità, ma spesso queste coltivazioni sono intensive e controllate da grandi compagnie private.

L’impresa di Potong è di grande innovazione sul territorio, perché prevede uguali diritti per tutti e maggiore partecipazione.

PTWWC è anche sostenuto da TPI (Tea Promoters of India), che si occupa di lavorare il tè ed esportarlo secondo i principi del Commercio Equo.

La filiera del caffè

La filiera tradizionale del caffè è caratterizzata da sfruttamento e vulnerabilità dei produttori, gravi conseguenze sull’ecosistema e sulle coltivazioni dovute alla crisi climatica e da un’alta volatilità del mercato (il prezzo del caffè, infatti, è quotato in borsa).

Ma quanto ne sappiamo di questa pianta così delicata e preziosa?

Vediamo insieme qualche concetto chiave, che ci aiuta a capire quanto sia importante e necessario oggi scegliere il caffè del Commercio Equo e Solidale.

produttori caffè brasile

 

La coltivazione del caffè

La pianta del caffè è un arbusto del quale esistono più di 100 specie differenti: le due più note e importanti per l’uomo sono la Robusta e l’Arabica.

Il frutto è detto “drupa” o “ciliegia” e, una volta maturo, si presenta come una bacca rossa lucida che contiene i due semi di caffè.

  • La pianta di caffè della varietà arabica è più pregiata, cresce ad altitudini più elevate, è più delicata e ha una minor percentuale di caffeina e un gusto più aromatico. Visivamente il chicco di arabica ha una forma ovale, allungata e il taglio del chicco è ondulato.
  • Per quanto riguarda la varietà robusta, invece, si ha una pianta più resistente ai parassiti e al caldo e il caffè prodotto sarà più corposo e contenente una maggior percentuale di caffeina. La forma del chicco è più piccola e tondeggiante, il taglio centrale tende ad essere dritto.

Le zone di produzione e il cambiamento climatico

coffee belt

Il caffè viene prodotto in una zona di mondo che è chiamata “coffee belt, ovvero “la cintura del caffè”. Le aree e le altitudini che ne permettono la coltivazione infatti sono abbastanza ristrette.

La coffee belt comprende tre continenti: America, Africa e Asia. In queste tre diverse zone del mondo le condizioni di crescita del caffè sono simili, ma ciò che cambia è l’aroma, a seconda del clima, della quantità di acqua, dell’altitudine e della tipologia di suolo.
La pianta di caffè è molto delicata e per essere coltivata, soprattutto le varietà più pregiate che crescono in altura, ha bisogno di un clima molto particolare.

Con la crisi climatica emergono nuovi parassiti e malattie, e le specie di caffè selvatico, che forniscono una grande risorsa genetica per i coltivatori, rischiano di estinguersi entro il 2080.

Lo squilibrio climatico stravolge i cicli di pioggia durante l’anno e influisce fortemente sui periodi di fioritura e sullo sviluppo delle piante: senza un’azione adeguata a ridurre le emissioni di CO2, entro il 2050 l’area globale adatta alla coltivazione del caffè si ridurrà del 50%.

 

Il mercato del caffè

Il mercato del caffè è pieno di interessi.

Il prezzo del caffè viene quotato in borsa ed è tra le materie prime più in movimento nel mercato. Il risultato è un prezzo fortemente oscillante e molte speculazioni finanziarie.

Gli effetti dei giochi di mercato si riversano sui piccoli produttori: circa 20 milioni di persone vivono in zone rurali o di montagna e il loro sostentamento dipende dalla coltivazione del caffè.
Il loro potere contrattuale è molto basso di fronte agli intermediari, che si recano sul posto e offrono ai produttori un prezzo basso, ma con pagamento diretto. Di fronte a questa proposta, chi vive in condizioni di estrema insicurezza economica, accetta di avere liquidità pur dovendo accettare guadagni molto bassi.

Gli intermediari poi vendono il caffè e società di trading internazionale, tramite le quali arriva poi ai marchi di caffè che si trovano comunemente sul mercato.

Nel mercato tradizionale, quella del caffè è una filiera molto lunga e molto opaca, della quale si conoscono poche informazioni e si perde facilmente il nesso.

I piccoli produttori sono i soggetti più vulnerabili e più esposti alla volatilità del mercato e al cambiamento climatico: il caffè perde o cambia il suo tipico aroma, i prezzi aumentano, il ciclo biennale di produzione delle piantagioni viene alterato e i volumi prodotti diminuiscono drasticamente.

Dunque, cosa possiamo fare noi?

 

Il caffè del Commercio Equo e Solidale

promozione caffè equosolidale

In questo mondo così complesso e macchiato di ingiustizie l’alternativa più valida è quella del Commercio Equo, che acquista caffè proveniente da cooperative con le quali si mantiene un rapporto continuativo e senza intermediari.

Ma il caffè equosolidale è buono anche perché:

  • Nella raccolta si rispetta la naturale maturazione della pianta;
  • Viene coltivato nel rispetto della biodiversità del suolo e dell’ecosistema;
  • Convive con altre colture, per permettere ai produttori di avere più fonti di sostentamento;
  • Preserva le risorse idriche;
  • I lavoratori ricevono un giusto compenso e i loro diritti sono tutelati;
  • Incentiva la produzione biologica;

Il prezzo pagato ai produttori non scende mai sotto un minimo prestabilito, ma se la borsa sale, la retribuzione sale con essa.
Oltre alla retribuzione fissa, ci sono dei finanziamenti aggiuntivi: la Cooperativa può investire un premio FairTrade per l’impegno sociale e il miglioramento delle condizioni di vita, soprattutto nelle zone rurali isolate.

Se vuoi scoprire qualcosa di più sui produttori di caffè del Commercio Equo e Solidale, clicca qui!

I produttori del riso: Green Net e Fair Farming

Da dove arriva il nostro riso

– Green Net, Thailandia

produttore riso green net thailandia

La Cooperativa Green Net, che letteralmente significa “Rete Verde”, è da sempre impegnata nella salvaguardia della biodiversità e nella lotta al cambiamento climatico. Le sue iniziative, tutte di produzione biologica, sono un vero e proprio modello di sostenibilità in Asia.

L’organizzazione del lavoro è su base comunitaria e sa che il cambiamento climatico influirà sempre più negativamente sull’attività dei piccoli agricoltori, sempre più esposti a piogge, alluvioni e siccità imprevedibili.

La Earth Net Foundation

Green Net è attiva già dagli anni ’90, ma nel 2000 viene fondata anche la Earth Net Foundation, con la quale si inizia a organizzare una filiera produttiva di riso biologico che parta dai piccoli produttori e si conformi sia agli standard di qualità che ai criteri di certificazione biologica vigenti in Europa.

Green Net è stata una delle prime organizzazioni in Thailandia a ottenere la certificazione biologica per il riso.

Tra le azioni concrete che Green Net e Earth Net mettono in campo per adattare il sistema produttivo a nuove esigenze c’è ad esempio la raccolta dell’acqua piovana, ma il lavoro non si ferma qui: loro vogliono trovare delle soluzioni concrete per continuare a coltivare biologico e preservare la biodiversità, nonostante i cambiamenti climatici!

Fair Farming Foundation, India

fair farming produttore riso india

La Fair Farming Foundation nasce nel 2012, riunendo i contadini di 38 villaggi in India.

I contadini della Fair Farming sono proprietari di piccoli appezzamenti terrieri, che vengono coltivati a riso per circa un 20-30% del totale.

Il riso basmati biologico, pur essendo uno dei più pregiati al mondo, non dà i suoi frutti quando viene venduto sul mercato locale: i contadini vivono in condizioni di scolarizzazione molto bassa, pertanto esposti ad un elevato rischio di sfruttamento.

Inoltre, le zone rurali in cui vivono questi contadini sono ben distanti dalla prima città (più di 3 ore di autobus) e per questo motivo si ritrovano in condizioni di isolamento.

La Fondazione, con lo scopo di migliorare le condizioni di vita nei villaggi rurali alle pendici dell’Himalaya, luoghi che nonostante le difficoltà, offrono un terreno adatto a coltivare riso biologico.

Grazie alla Fondazione e al premio pagato dal Commercio Equo e Solidale è stato istituito un Computer Center: la connessione internet ha permesso a bambini e ragazzi di partecipare a corsi di alfabetizzazione in Hindi e Inglese (lingue ufficiali della zona) e alle donne di frequentare corsi di sartoria.

Queste opportunità erano prima negate alla comunità, ma ora tutti sono consapevoli del fatto che lavorando in maniera solidale e in cooperazione tra i villaggi tutti ne possono trarre vantaggio.

Purtroppo, anche la crisi climatica ha influito negativamente sulle già difficili condizioni di vita dei contadini indiani. Infatti, le piogge sono sempre meno frequenti in quelle zone, e per le coltivazioni si pone il problema della disponibilità dell’acqua.

Una coltura sostenibile, che faccia fronte alle difficoltà

La soluzione adottata da Fair Farming sta in una particolare strategia agronomica detta SRISystem of Rice Intensification: inumidendo il suolo anziché utilizzando una coltura a immersione, i contadini riescono a risparmiare circa il 50% dell’acqua.

Inoltre, il terreno viene rispettato anche secondo le stagioni: quando non si può coltivare il riso si producono legumi e altre verdure. Con la giusta rotazione il terreno rinvigorisce, le famiglie ne ricavano ulteriori nutrimenti e le vendite al mercato si diversificano.

La filiera dello zucchero

Quanto sappiamo dello zucchero che consumiamo ogni giorno?

Quando si parla di zucchero spesso si pensa alla dolcezza. Purtroppo, però, il mercato tradizionale dello zucchero è tutt’altro che dolce.

Lo zucchero è uno dei beni di consumo più diffusi e si stima che un italiano medio ne consumi circa 27 Kg all’anno.

La produzione dello zucchero consiste nell’estrazione del saccarosio dai vegetali. In natura è presente in molte specie vegetali, ma per l’industria se ne usano principalmente due: la barbabietola da zucchero e la canna da zucchero.

Le coltivazioni di queste due piante sono presenti in più 130 paesi: la barbabietola in Europa, mentre invece la canna da zucchero nelle regioni calde e umide, intorno alla fascia tropicale. I principali paesi coltivatori di Canna da zucchero sono, in ordine: Brasile, India e Thailandia.

La produzione dello zucchero è sostenuta da lavoratori sfruttati, che svolgono turni di più di 12 ore giornaliere, soccombendo a sfruttamento, abusi, violazioni dei diritti e condizioni di lavoro massacranti (secondo quanto riportato nei report di Mani Tese, i lavoratori testimoniano di dover lavorare scalzi, dalle 6 del mattino per tutto il giorno, non potendosi organizzare in sindacati per protestare per non rischiare il licenziamento).

Le fasi che precedono l’arrivo dello zucchero sulla nostra tavola sono la semina, il taglio, il trasporto verso gli zuccherifici, strutture per la macinazione e l’eventuale raffinazione e dopodiché la distribuzione mondiale.

Su quante di queste fasi siamo veramente informati e consapevoli?

Partiamo dalla semina: la monocultura estensiva che caratterizza i campi seminati a canna da zucchero ha un impatto molto negativo sull’ambiente e sull’ecosistema e aggrava la crisi climatica. Aumentano la deforestazione e si perde la biodiversità e l’uso sfrenato di fertilizzanti e diserbanti chimici avvelena le riserve idriche, oltre che intaccare le produzioni limitrofe.

Il potere contrattuale dei braccianti è inesistente: sul loro lavoro, tutto manuale, si regge l’intera filiera, eppure non godono di alcun diritto e spesso sono soggetti a tassi di malattia e mortalità nettamente sopra alla media, per le condizioni dure a cui sono esposti (in Nicaragua è stata evidenziata una significativa incidenza di insufficienza renale cronica per cause non tradizionali, registrata nelle aree agricole tra i lavoratori delle piantagioni di canna da zucchero).

Durante la fase di raffinazione lo zucchero viene solitamente separato, per centrifugazione, dalla melassa, cristallizzato in apposite apparecchiature e infine chiarificato per produrre lo zucchero bianco, maggiormente richiesto dal mercato.

L’alternativa: una filiera equa dello zucchero

Produrre lo zucchero secondo principi che siano equi e solidali è possibile, e viene fatto già da molti anni. Innanzitutto, la filiera di produzione Altromercato è una filiera corta: dal produttore direttamente a noi, in cui il processo è trasparente e controllato.

I produttori sono sempre tutelati, ricevono un prezzo equo per il loro lavoro e lo possono svolgere in condizioni nelle quali è garantita loro la sicurezza. Inoltre, si organizzano per favorire l’empowerment della comunità, l’apprendimento continuo, il miglioramento delle proprie condizioni.

Anche per quanto riguarda invece l’impatto ambientale, la filiera equa dello zucchero si distingue dal mercato tradizionale su più fronti:

  • Le produzioni sono per la maggior parte biologiche e le tecniche agricole utilizzate preservano il terreno e le sue proprietà nutritive;
  • Si sceglie di non coltivare terre vergini o che andrebbero deforestate, ma di utilizzare i terreni marginali;
  • Negli zuccherifici l’impronta di carbonio è quasi nulla: si usa infatti come combustibile la biomassa, rinnovabile e ottenuta di volta in volta dagli scarti della canna da zucchero;
  • I processi produttivi sono altamente manuali, pertanto la bassa meccanicizzazione ha meno impatto sul suolo.

I produttori

  • Copropap, in Ecuador, è il produttore dello zucchero Dulcita.

copropap 1

La Cooperativa Productores De Panela El Paraiso, in breve Copropap viene fondata nel 1991da alcune famiglie contadine. Oggi coinvolge 47 soci, più di 1200 persone che ne beneficiano nella comunità.

Ha sede nella provincia di Pichincha, sulle Ande, dove il territorio montuoso rende complicato l’accesso: l’isolamento è un fattore aggravante di condizioni come scarsa alfabetizzazione, mancanza di politiche di sviluppo o di assistenza, improduttività e sfruttamento.

Dopo la nascita di Copropap i campesinos hanno potuto riunire le forze per gestire in autonomia l’intera filiera produttiva, svincolarsi dagli intermediari del mercato che imponevano un prezzo non equo ed entrare in contatto con la rete del Commercio Equo.

La prima esportazione di zucchero Dulcita risale al 1995, nel 1998 la Cooperativa ha ottenuto la certificazione Bio e nei primi anni Duemila, grazie ad alcuni progetti di cooperazione italiani, è stato possibile costruire un capannone per la lavorazione e lo stoccaggio dello zucchero.

Nel 2012 sono arrivate altre migliorie sugli strumenti utilizzati ed è sono stati inclusi ulteriori soci, ma il vero salto è avvenuto nel 2013: dopo 20 anni di lavoro e collaborazione, Copropap ha ottenuto la licenza per l’esportazione diretta, chiudendo così la filiera produttiva e gestendola in autonomia fino alla fine.

Oggi, a sostenere Copropap, c’è anche Fondazione Altromercato, che ha avviato una raccolta fondi per completare la costruzione dello zuccherificio.

In un territorio dove l’agricoltura biologica è l’alternativa allo sfruttamento minerario, il nuovo zuccherificio rappresenta un’importantissima opportunità di emancipazione e riscatto per le comunità.

  • PFTC, nelle Filippine, è il produttore dello zucchero di canna Mascobado.

Il Panay FairTrade Center (PFTC) nasce nelle Filippine nel 1991, su iniziativa di 25 donne, tra cui Ruth Salditos, della rete Gabriela, che riunisce i movimenti attivi per la promozione dei diritti delle donne.

PFTC ha sede sull’isola di Panay, dove da 30 anni porta avanti progetti di empowerment e lotte per i diritti, a difesa della democrazia e a tutela di tutti e tutte. Oggi a PFTC lavorano più di 500 persone e di questo lavoro beneficiano più di 3000 famiglie.

Il Panay FairTrade Center lavora tenendo come capisaldi la sostenibilità ambientale e quella sociale, la giustizia, l’impegno politico: il modello di crescita deve essere a piccoli passi, ha una base comunitaria, coinvolge i quartieri urbani più poveri e contrasta la marginalizzazione.

In un paese come le Filippine, dove spesso giornalisti e attivisti dei diritti umani rischiano la vita, non è facile portare avanti questo lavoro. Nel 2018 è stato ucciso Felix Salditos, marito di Ruth Salditos, non sono ancora stati rintracciati i colpevoli della sua morte, come di molte altre, ma questo non ferma la voglia di giustizia della comunità: PFTC ha creato anche la FairTrade Panay Foundation, con Ruth Salditos nel ruolo di direttrice, per portare avanti un lavoro di sviluppo e advocacy e chiedere sempre a maggior voce diritti, giustizia, democrazia.

  • Manduvirà, in Paraguay, è il produttore degli zuccheri Picaflor e Manduvirà

Manduvirà nasce in Paraguay durante anni della dittatura, quando sembrava impossibile poter parlare di diritti civili.

Nel 1975 un gruppo di persone decide di continuare a credere nel cambiamento, mette insieme i propri risparmi e dà vita a Manduvirà, una Cooperativa di risparmio e credito. È nel 1990 che Manduvirà diventa una cooperativa agro-industriale: torna la democrazia ed è possibile fare progetti di inclusione rivolti ai piccoli produttori della zona, spesso sfruttati dalle grandi multinazionali e privi di potere contrattuale.

Nel 2011, dopo anni di duro lavoro per l’indipendenza e grazie al contributo delle Botteghe del Mondo e della loro raccolta fondi, è stato inaugurato lo zuccherificio. Oggi, per la prima volta nella storia del Paraguay, i coltivatori di zucchero sono anche i proprietari dell’azienda che lo lavora e controllano autonomamente la filiera.

Sostenibilità ambientale, sostenibilità sociale e progetti di cooperazione: la storia di Manduvirà è una storia di impegno e collaborazione per riconquistare la libertà, che oggi coinvolge circa 1700 soci e porta beneficio a più di 25mila persone nella comunità.